Trend & Insight

Qual è il vero pubblico americano a cui punta la F1?

di Davide Reinato
Pubblicato il: 21/11/2023

Durante la scorsa settimana ho letto e ascoltato opinioni piuttosto polarizzate sulla F1 a Las Vegas. Articoli e post sui social con dichiarazioni spesso decontestualizzate e orientate al click-bait, che sempre di più abbassano il livello dell’informazione e alimentano una sorta di antiamericanismo ingiustificato.

Alcuni di questi articoli stressavano all’inverosimile dei concetti per far passare il semplice messaggio che Liberty Media l’ha fatta fuori dal vaso investendo nel GP di Las Vegas in qualità di promotore. Tutto è stato costruito intorno a questi due concetti:

1. L’insofferenza dei cittadini. Un evento di tale portata ha portato il caos nella quotidianità di Las Vegas già a partire dal dicembre dell’anno scorso. Chi vive e lavora lì, non può che aver sofferto un grosso disagio quotidiano.

Ricordo distintamente le imprecazioni colorite dei romani, lo scorso luglio, per l’ePrix di Roma di Formula E all’EUR. Sono certo che quelle a Las Vegas erano cento volte più dure: d’altronde, lo stravolgimento generale – dal traffico al costo della vita – avrebbe fatto infervorare chiunque.

E, purtroppo, è vero: ci sono stati episodi di ostilità da parte di qualche testa calda verso chi lavora nel circus, ma da qui a far passare il messaggio che bisognava andare in giro con la scorta, ce ne vuole.

2. Biglietti troppo cari. Non erano certo a buon mercato, sia chiaro. Per stare in piedi vicino alla sfera servivano 500 dollari, mentre per sedersi in tribuna i prezzi partivano da 1600 dollari (per i tre giorni di gara).

Però non ricordo di tale indignazione per l’ultimo Super Bowl, ad esempio, dove il prezzo più basso di un biglietto era di 5.500 dollari (e quello più caro, oltre 40.000). L’esagerazione di Las Vegas ha preso il sopravvento in tutto, dal costo dei biglietti in tribuna a quelli del paddock club. Non deve però sfuggirci un particolare: questo GP non è stato pensato per la gente del posto, ma per gente col conto corrente stracolmo che va all’evento perché fa figo esserci, per l’esperienza. Di Formula 1 non ne sa, né è realmente interessato a saperne niente.  

È proprio su questo ultimo punto che andrebbe fatta una vera riflessione, anziché raccontare un flop inesistente.

Negli ultimi cinque anni, la Formula 1 è diventata molto più popolare negli Stati Uniti e parte del merito è della docuserie Netflix “Drive to Survive”. Il circus è passato da una media di 400 mila spettatori a quella attuale di 1,11 milioni. Ma siamo ancora lontani dalle cifre che registra la Nascar, per esempio, che nel 2023 ha chiuso con una media di 2,86 milioni di spettatori.

Negli Stati Uniti, i maniaci del motorsport sono ancora molto legati alla Nascar e all’Indycar e questo perché fanno parte della tradizione del Paese e hanno un approccio, diciamo così, più “popolare”, che stride con glamour e sfarzo della Formula 1.

Ed è per questo che sostengo che la strategia di espansione della Formula 1 in America ha una sfaccettatura che a molti è sfuggita. Liberty Media non ha intenzione di corteggiare quel tipo di pubblico, che continuerà a fare paragoni con le altre categorie; quelle persone possono comunque avvicinarsi al circus attraverso la televisione senza spendere capitali. La Formula 1 in America punta ad attirare agli eventi tutte quelle persone che sono disposte a sborsare cifre assurde per esserci. E, contestualmente, il detentore dei diritti sta provando ad applicare un metodo “Soft” agli eventi europei, cercando un buon bilanciamento tra show e sport, pensando a ogni evento in calendario come tanti piccoli “Super Bowl”. Funziona? Al momento, sì e le cifre parlano chiaro.

La vera domanda sul quale costruire un dibattito a questo punto è principalmente una: ne varrà la pena o a furia di tirare la corda qualcosa potrà rompersi?

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Davide Reinato

Digital Marketing Manager | 10+ anni in F1 🏁 Una lunga esperienza nel marketing digitale e nella motorsport industry arricchita dal coinvolgimento in Formula 1, dove precisione, velocità e intuizione sono la quotidianità. Un ambiente competitivo che mi ha insegnato a pensare spesso fuori dagli schemi, ottimizzando ogni singolo aspetto per garantire performance elevate e risultati misurabili.

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